mercoledì 8 giugno 2016

Vivi per lavorare?

Fino a 6 anni fa la mia vita si era trasformata in puro lavoro. 
Nel 2010 lavoravo praticamente 7 giorni su 7. Dal lunedì al sabato ero in aula a fare formazione o in azienda dai clienti a fare consulenza. La domenica invece era dedicata a scrivere relazioni ai miei capi (che non leggevano quasi mai) o a compilare fogli di excel di inutile e burocratica reportistica. Mi concedevo circa tre settimane di riposo in un anno: una settimana per le feste di Natale e due in estate. Considerando che per "staccare" veramente avevo sempre bisogno di almeno due giorni, e che due giorni prima di riprendere già cominciavo a pensare a quello che avrei dovuto fare al lavoro... beh, capite bene che vita di merda conducevo.
Sia chiaro, non rinnego nulla di quello che ho fatto e penso che in alcuni anni della propria vita sia anche giusto investire sul proprio futuro. A patto che poi quel periodo finisca e ci sia un momento in cui poter godere dei sacrifici fatti.
Io già da adolescente avevo deciso che a 40 anni avrei raggiunto la mia tranquillità economica. Il che non vuol dire essere ricco, ma poter mantenere il proprio stile di vita senza grossi affanni e preoccupazioni. 
E, soprattutto, bilanciare in maniera diversa il tempo dedicato a se stessi rispetto a quello dedicato al lavoro.     

Oggi lavoro in media 3 giorni a settimana, 3 settimane al mese, 9 mesi all'anno.
Questa è la mia soglia massima di tempo dedicato alle attività operative (ovvero la consulenza presso le aziende e la formazione in aula).
Senza aver ridotto fatturato ed utili (che, anzi, sono in crescita).

Il resto del tempo è dedicato a:
- me stesso e la mia famiglia (viaggi, hobby, riposo puro)
- creazione e innovazione
- studio (lettura, partecipazione ad eventi)
- progetti strategici sul medio-lungo periodo (ovvero attività che non danno risultati immediati)

Per chi lavora 10-12 ore al giorno, 4 settimane piene e fa 15 giorni di vacanze in un anno potrebbe sembrare un risultato stratosferico (6 anni fa anche io ci avrei messo la firma).
Ed invece mi sento solo a metà percorso.
Perché entro il 2018, senza ridurre le mie entrate, conto di arrivare a lavorare solo due giorni a settimana, due settimane al mese, e non più di 7 mesi all'anno.

Certo, è un progetto di vita che può permettersi solo chi non lavora come dipendente, ma la cosa incredibile è che neppure gli imprenditori o i liberi professionisti valutano l'idea di ridurre le ore di lavoro, anzi tendono ad aumentarle per compensare le inefficienze e gli scarsi risultati. 
Quindi, di fatto, stanno peggio di un loro dipendente che si fa le 8 ore e poi va a casa.

Io non penso di essere nato per lavorare. Penso invece che la professione debba rappresentare uno strumento di evoluzione e realizzazione personale. 
Se il lavoro fagocita la vita personale, allora c'è qualcosa di tremendamente sbagliato, e va modificato al più presto. 
Anche perché un tempo il sacrificio e il duro lavoro garantivano (almeno) il successo imprenditoriale. 
Oggi, invece, quel tipo di approccio porta a due risultati:
- il fallimento dell'impresa
- lo spreco della propria esistenza.

Quello del lavorare sulla propria efficienza e, di conseguenza, su quella aziendale, dovrebbe rappresentare una priorità assoluta per chi vuole uscire dalla "trappola infernale", in cui l'iper lavoro genera stress, che genera errori, che generano sprechi, che generano scarsa competitività sul mercato, che genera dover lottare sul prezzo, che genera frustrazione e ulteriore stress. 
Un circolo vizioso che non puoi fermare aumentando progressivamente le ore passate in azienda. 
Anzi, la cura è esattamente opposta: devi fermarti!

Inizia con mezza giornata al mese. Tutta per te. Fuori dall'azienda, senza pensare ai clienti, col telefono staccato. Prendersi la prima mezza giornata al mese di libertà equivale ad una bella boccata d'aria per chi sente di essere ormai senza ossigeno. 
Se riuscirai a fare questo primo passo, dopo qualche mese ti accorgerai che puoi prenderti due mezze giornate al mese. E poi tre, e poi quattro. 
Scoprirai così, in maniera progressiva, come tutto va avanti anche senza di te. A volte persino meglio ;) 
Perché quando torni sei più rilassato, gestisci le cose in minor tempo, prendi decisioni più lucide. 
Ed attivi così il circolo virtuoso che poi porta a condurre in maniera ottimale l'azienda e le persone che ci lavorano all'interno.

Alla prossima edizione della nostra Accademia Aziendale Sovversiva avremo la testimonianza di 5 imprenditori che hanno già iniziato questo percorso, e che ci hanno parlato dei risultati che hanno ottenuto. 
Risultati in termini di benessere personale, ma anche di utili a fine anno. 

Ora la scelta è tua. 
Puoi passare il resto della tua vita dentro la ruota del criceto, o decidere di uscirne gradualmente. 
Per scoprire che si può essere imprenditori anche senza dover immolare tutta la vita all'azienda. 

martedì 1 marzo 2016

Il Futuro dei Giovani.

Da qualche anno, sebbene non rientri nelle mie specifiche attività professionali, mi sto occupando di formazione ai giovani. Lo faccio tramite un'associazione no profit che si chiama Happiness, che ho creato per portare avanti il progetto "Happy Academy", l'Accademia Felice in cui i ragazzi dai 18 ai 25 anni possono formarsi gratuitamente, grazie alle donazioni di molti Imprenditori Sovversivi.

L'idea, semplice ma molto apprezzata, è stata questa:
Ci sono centinaia di aziende sane, alla disperata ricerca di ragazzi in gamba e già pronti per supportare il titolare. Parliamo di piccole e medie imprese, quindi non cercano né il manager che arriva dalla Bocconi con 3 master (e zero esperienza), né possono permettersi il lusso di assumere il ragazzo tutta buona volontà ma totalmente da formare all'interno.
Dall'altra parte abbiamo migliaia di ragazzi che vorrebbero crescere professionalmente e lavorare, ma sanno perfettamente che la scuola tradizionale non trasferirà loro le competenze che richiede il mercato. Quindi sono incastrati psicologicamente in una situazione frustrante, perché si rendono conto che ogni scelta che faranno li porterà ad un vicolo cieco.
Perché quindi non unire queste due esigenze, ed impostare un percorso che porti ad acquisire quelle competenze che gli imprenditori vorrebbero e non trovano, dal momento che la scuola non è in grado di trasferirle?

Tre anni fa ho provato a portare il progetto di Happy Academy all'interno delle scuole. Con risultati davvero raccapriccianti.
L'apice di questa esperienza lo condenso in un episodio vissuto all'interno di un liceo, dove un preside, apparentemente disponibile, mi ha dato l'opportunità di tenere quello che doveva essere un incontro introduttivo a tutte le quinte dell'istituto. Al termine dell'incontro gli oltre cento ragazzi erano letteralmente entusiasti del progetto, così come buona parte dei docenti presenti. Ero quindi convinto che il preside avrebbe confermato il progetto (una serie di appuntamenti legati allo sviluppo di competenze relazionali). Ma con mia sorpresa a fine incontro la sua frase è stata: "Non ritengo sia il caso di continuare. Sa, lei con queste informazioni potrebbe rendere consapevoli i matti di stare all'interno di un manicomio. Questo renderebbe poi problematico il nostro lavoro di tutti i giorni".
Ecco, siamo messi così. Con le istituzioni scolastiche più concentrate a non far capire ai ragazzi di essere stati messi in un manicomio, piuttosto che focalizzate sul renderli responsabili della loro vita e del loro futuro.


A quel punto ho capito che l'unica vera strada perseguibile era quella di fare qualcosa in piena autonomia, coinvolgendo gli imprenditori del territorio e proponendo loro di "adottare" un giovane, a cui dare la possibilità di formarsi e di fare poi un'esperienza di (almeno) 3 mesi all'interno della loro azienda.
Contemporaneamente avevamo necessità di far conoscere il progetto ai ragazzi, per cui abbiamo contattato Google e chiesto un aiuto. Loro hanno apprezzato il progetto al punto che ci hanno donato oltre 200.000 euro in visibilità.
Il risultato è stato che siamo stati letteralmente sommersi di richieste (ad oggi oltre 700).

E qui viene il secondo punto dolente: la totale mancanza di cultura nella ricerca del lavoro. 
Un vero disastro nelle risposte via mail, con curriculum spesso senza riferimenti, per non parlare della modalità con cui interagiscono al telefono quando li contatti, o di come si pongono ad un colloquio di persona.
Per correttezza abbiamo risposto a tutti, uno ad uno, anche a quelli che si proponevano scrivendo "Rispondo ma so già che sarà una fregatura..." oppure "se mi pagate bene vengo". Molte delle persone contattate ci rispondevano al telefono "ma chi siete? non mi ricordo di avervi scritto" (con loro mail inviata 24 ore prima).
Insomma, abbiamo fatto i conti con quello che gli imprenditori spesso lamentano: una marea di giovani disoccupati a cui mancano però le basi educative, comportamentali e comunicative per poter essere presi anche solo in considerazione. Ovviamente frutto di quella scuola di cui parlavamo prima (lo dico per correttezza: non parliamo di tutti i presidi e docenti d'Italia, perché sappiamo benissimo che ve ne sono alcuni eccezionali. Ma proprio i migliori sono quelli più spesso emarginati o boicottati. Quindi grande solidarietà a tutti loro).

Alcuni dei ragazzi di Happy Academy 2016


Nel frattempo abbiamo trovato anche tanti ragazzi stupendi e davvero validi, così a Settembre 2015 è partita la prima edizione di Happy Academy, che tra un mese terminerà. I risultati sono stati davvero incredibili, superiori ad ogni più rosea aspettativa, come testimoniato dai ragazzi stessi sulla pagina Facebook.
Quindi, forti di questi successi, stiamo già preparando la prossima edizione, che sarà ancora più strutturata e potente. Uniremo infatti Happy Academy alla nostra Accademia Aziendale Sovversiva, ovvero il percorso formativo dedicato agli imprenditori.
L'idea è quella di permettere ai ragazzi selezionati di fare lo stesso iter di crescita degli imprenditori (da cui andranno poi a lavorare), affinché possano conoscersi prima dell'inserimento vero e proprio in azienda. Un percorso formativo in cui contemporaneamente l'imprenditore impara a delegare ed il suo futuro collaboratore impara a ricevere la delega, l'imprenditore impara ad organizzare il lavoro ed il futuro collaboratore impara ad essere responsabile e proattivo, e così via, in un progetto parallelo, ma destinato poi a congiungersi per dare soddisfazioni ad entrambi.

Per i ragazzi il percorso sarà, come sempre, gratuito.
Perché per ciascun imprenditore che si iscriverà all'edizione 2017 
della nostra Accademia Aziendale Sovversiva, 
noi metteremo a disposizione un posto per un ragazzo dai 18 ai 25 anni. 

Lo potrà scegliere direttamente l'imprenditore (magari coinvolgendo il figlio, o una persona che già conosce), oppure affidare a noi la selezione di una rosa di ragazzi in gamba, per poi decidere tra loro quale "adottare" e poi inserire in azienda.
Per chi è in cerca di personale sa che questo rappresenta quasi un sogno: poter scegliere tra persone già qualificate e che in più verranno formate per essere da subito utili e produttive in azienda.
E per i ragazzi un piccolo spiraglio di luce, tra inutili corsi finanziati dalla comunità europea e finti colloqui pagati da noi contribuenti per dare l'illusione che lo Stato si interessa dei disoccupati.


Inaugurazione di Happy Academy

Sappiamo bene che la nostra iniziativa non risolverà i problemi del lavoro in Italia, ma se tutti noi facessimo un pezzetto, all'interno del nostro territorio, forse questo produrrebbe più risultati che rimanere passivamente in attesa che qualcuno lo faccia per noi. 
Anche perché nessuno lo farà per noi.

Quindi se sei un imprenditore sovversivo (ovvero consapevole che fare impresa non ha solo una valenza economica, ma anche sociale) e vuoi contribuire anche tu a questo progetto, contattami privatamente.
Se sei un ragazzo che vuole proporsi per vivere questa esperienza, inviaci la tua candidatura a info@happyacademy.it. Ti risponderà il bravissimo Samuel, uno dei ragazzi che sta partecipando all'edizione 2016 di Happy Academy, e se avrai i giusti requisiti farai un colloquio direttamente con me.
Se sei un giornalista o un influencer, e ci vuoi dare una mano a diffondere questa iniziativa, te ne saremo grati.
Un domani, forse non troppo lontano, potremo creare una Happy Academy in ogni città, a supporto dei giovani e degli imprenditori che non si arrendono alla mediocrità e al pessimismo, ma si impegnano concretamente per costruire un futuro migliore per tutti.
Dopotutto, cosa c'è di più importante di questo?

sabato 20 febbraio 2016

Il dilemma del formatore.

"Nel dire alcune verità scomode devi fare i conti con l'impopolarità. Ma senza popolarità non puoi trasferire a più persone quelle verità scomode che qualcuno potrebbe apprezzare".
Molti bravi professionisti, nel mio settore (ma non solo) si trovano in questa situazione. 
Perché la maggior parte delle persone è affamata di certezze ed assetata di facili illusioni
Ma detesta la sgradevole sensazione di disagio che deriva dal fare i conti con la consapevolezza.
Per esempio le persone vogliono che tu fornisca loro le frasi adatte per "persuadere" un cliente, ma quando dici loro che in realtà non devono persuadere proprio nessuno, ci rimangono male e pensano che tu non sia competente.
Sono stati talmente lobotomizzati da video corsi da 5 minuti o da ebook da 30 pagine che sostengono di spiegare "come ipnotizzare il cliente con una frase" o come "avere successo in 5 passi", che ora vogliono solo formule magiche, non soluzioni vere.  

Ecco quindi il dilemma. 
Adattarsi e sfruttare questi ormai noti meccanismi psicologici per piacere al maggior numero di persone, oppure andare avanti senza preoccuparsi del consenso, comunicando solo a quei pochi veramente recettivi?
Il paradosso sta nel fatto che ormai popolarità, successo e qualità sono diventati sinonimi. 
Cioè chi vuole dimostrare la qualità di ciò che offre usa lo strumento del "piace già a tanti", come se l'ultima hit di Giusy Ferreri fosse per antonomasia qualitativamente meglio di "Prélude à l'Aprèes-midi d'un faune" di Debussy, poiché è evidente che nella hit parade c'è lei e non lui. Quindi lui è uno sfigato e come tale non può insegnarti a fare musica di qualità.
D'altra parte se non sei popolare come fai ad intercettare chi vorrebbe Debussy e non sa che esiste, e quindi si sorbisce solo quello che "piace alla gente"? 
Davvero un bel dilemma.
Ma questa sarebbe una riflessione superficiale, se non analizzassimo anche altri fattori interessanti. 
Ad esempio di quando popolarità e qualità coincidono. 
Cristo, Gandhi, Luter King e Kennedy, ad esempio, sono stati popolari, pur essendo portatori di concetti elevatissimi.
Ed infatti sono stati fatti fuori.
La terza via purtroppo è proprio questa. Se sfidi lo status quo e porti avanti un approccio davvero Sovversivo, devi mettere in conto il sacrificio, che nei casi più eclatanti ha portato addirittura a quello più estremo della morte.
Popolarità, qualità vera del messaggio e vita tranquilla non possono coesistere assieme. Perché rappresenterebbero un errore del sistema (per dirla citando "Matrix", non a caso).

A chi mi chiede: "Quindi tu sei contrario al Successo?", oppure se ne esce con la frasetta da motivatore piennellaro: "Tu disprezzi il Successo solo perché non ti sei fatto il culo per raggiungerlo" io rispondo così: "Prima definiscimi cos'è per te il Successo". 
Se parli della popolarità, del consenso, delle mille millanta persone che ti cercano, ti osannano e ti dicono che sei "mittticoooo!!!"... beh, allora no, non mi interessa. O meglio, essendo consapevole di quale sarebbe il prezzo da pagare, non sono disposto a pagarlo, per una serie lunghissima di fattori che hanno a vedere principalmente con il mio personale concetto di vera qualità di vita (valore su cui non sono disposto a scendere a compromessi).
Come ho già scritto in un post precedente, ho rivalutato il (vero) concetto di zona di comfort, ovvero la capacità di stare bene con poco, di rivalutare i bisogni essenziali da quelli indotti, di dare una priorità a quello che davvero voglio, rispetto a quello che il mondo mi dice che dovrei volere.
Al punto che la normalità diventa qualcosa di abominevole ed "anormale", sulla spinta di un desiderio "popolare" di dover essere sempre migliori di qualcun altro.
Ma chissenefrega! 
Questa è la carota per asini, trasformata dai soliti personaggi motivazionali in "capacità di perseguire obiettivi sempre più grandi". 
Peccato che si scordino di aggiungere "perdendo di vista te stesso e le persone attorno a te".
Ebbene, tutto questo è profondamente impopolare, e non può ricevere lo stesso consenso di un post che ti promette "come raggiungere il successo in 5 passi".
Eppure l'unica strada per raggiungere un vero equilibrio ed una piena soddisfazione sia professionale che affettiva, consiste proprio nella capacità di uscire da questo ingranaggio.
E chi mi conosce personalmente sa che posso parlare di questo in maniera sufficientemente coerente ed attendibile.

Quindi, amico e collega formatore che non hai ancora riempito i palazzetti dello sport o che non hai centomila millanta like sulla tua pagina Facebook, non sentirti un perdente o frustrato. Chiediti semplicemente cosa vuoi veramente per te, e se i concetti che esprimi vanno contro ai diktat imposti da qualche Guru.
L'essere Sovversivi forse non premia in termini di popolarità, ma vuoi mettere la soddisfazione di non doversi trasformare in una delle tante mosche di successo, adattate a questo mondo di merda?

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mercoledì 6 gennaio 2016

Uscire dalla zona di comfort? Ma anche no!

Ormai non c’è “coach”, nel variegato mondo della formazione pseudo motivazionale, che con tono solenne, durante uno dei propri corsi, non se ne esca con la frase: “Se volete ottenere i vostri obiettivi dovete essere pronti ad uscire dalla vostra zona di comfort!”.
E la reazione classica dei presenti è “Sì, già, proprio vero, dobbiamo uscire dalla zona di comfort…”.

Ecco, l’ipnosi collettiva fa addirittura prendere per sacra, intelligente e profonda una frase di questo tipo, senza neppure soffermarsi sul significato letterale.
Vediamo perché.

Partiamo dal significato di comfort: "L'insieme di sensazioni piacevoli derivanti da stimoli esterni o interni al nostro corpo, che ci procurano una sensazione di benessere in una determinata situazione” (wikipedia).
Quindi se già ti trovi in una situazione confortevole per quale motivo dovresti “uscirne” per ottenere nuovi obiettivi o risultati?
Una motivazione potrebbe essere che alcuni sono incastrati nel meccanismo (insano) della “Felicità Infelice”. Ovvero del non sapersi mai godere quel che si ha, pensando a quello che ancora non si ha. Si tratterebbe però di un problema psicologico da curare.
Il più delle volte, invece, la verità è un’altra: le persone che ricevono e accettano quel messaggio NON SI TROVANO AFFATTO IN UNA SITUAZIONE DI COMFORT, quindi è piuttosto stupido chiedere loro di uscire da una situazione che non stanno vivendo.


In questi mesi ho fatto numerosi test per verificare questa mia teoria. Ogni volta che qualcuno mi diceva “Eh, lo so, dovrei uscire dalla mia zona di comfort”, io chiedevo: “Quindi mi stai dicendo che in questa situazione stai bene e provi benessere?”. La risposta era sempre la stessa: “Beh, certo che no!”.
Giustamente.

È chiaro quindi che il concetto di Comfort viene interpretato ed usato in due modi distorti:
  1. Per indicare una serie di abitudini alle quali siamo affezionati, ma che ci danneggiano.
  2. Una momentanea condizione di benessere che nasconde un’insidia più grave (simile a quella della rana nella pentola piena di acqua calda, che poi finisce con il farsi bollire). 

Facciamo un esempio pratico che includa entrambi i casi.

Sono un imprenditore che è abituato a lamentarsi dei propri collaboratori, senza affrontare mai direttamente le cause di questa insoddisfazione. Semplicemente passo tutto il giorno a rimuginare tra me e me tutto ciò che non fanno di buono, oppure mi sfogo continuamente con un socio o il mio partner.
Questa in effetti è un’abitudine negativa, che qualcuno potrebbe ricondurre nella famosa “zona di comfort”, che includerebbe anche il secondo aspetto, ovvero la momentanea condizione di benessere (il momento in cui ci si sfoga e si ha così un temporaneo sollievo). 
Ma se tu chiedessi a questo imprenditore: nella tua situazione attuale, provi benessere nello stare dentro la tua azienda e nell’interagire con i tuoi collaboratori? La risposta sarebbe sempre e solo una: NO!
Quindi lui non si trova affatto in una zona di comfort, sebbene l’abitudine lo porti a trovare temporaneo conforto nel lamentarsi! 

L’affermazione che chi deve uscire dalla zona di comfort lo debba fare nonostante abbia l’impressione di stare già bene è una favoletta irreale, alla quale si tende a credere solo per pigrizia mentale.
Una persona che sta già veramente bene, quindi che si trova in una reale zona di comfort, non ha alcun motivo sensato per uscirne alla ricerca di “qualcosa di diverso”. 
Immaginate di trovarvi in un luogo per voi piacevolissimo, che vi dà benessere ed energia, con attorno le persone a voi più care. Se qualcuno vi dicesse di andarvene da lì, per il vostro “bene”, perché quella rappresenta una pericolosissima zona di comfort, come reagireste? 
Ecco, ci siamo capiti. 
Se invece pensi di essere in una zona di comfort, ma in realtà sei stressato, insoddisfatto e preoccupato, allora ha senso uscirne. Tanto non era una zona di comfort, bensì di Scomfort!

Il mio augurio è di trovare la vostra vera zona di comfort, e di restarci il più a lungo possibile. 

E se qualche formatore pseudo motivazionale verrà a dirvi che dovete uscirne al più presto, saprete cosa rispondergli: ma anche no!

domenica 20 dicembre 2015

Auguri... Sovversivi!



Uno dei miei principi base, quando affianco nella crescita professionale un Imprenditore, è che BISOGNA FARE MOLTE VACANZE.
Il vecchio concetto del "Duro Lavoro", inteso come quantità di ore passate in azienda, è ormai sorpassato e spesso dannoso.
Oggi bisogna lavorare in maniera equilibrata, intelligente, divertente.
Insomma meglio poco ma in maniera eccellente, che tanto ma ma in maniera mediocre.

Per questo il mio consiglio è di concedervi qualche giorno in più del solito, di staccare completamente dal lavoro operativo e di dedicarvi solo alla parte "creativa", ovvero quella che più spesso trascuriamo, ma che nel medio/lungo periodo permette di fare il vero salto qualitativo!

Sarà il modo migliore per iniziare questo 2016, che vi auguro davvero Sovversivo!

giovedì 19 novembre 2015

Come si gestisce un'azienda?

Quando mi trovo a parlare con gli imprenditori, inevitabilmente ad un certo punto scatta la domanda da un milione di dollari: "Ma come si fa, oggi, a gestire davvero bene un'azienda?".
Ovviamente ci sarebbe da parlare di questo argomento per giorni, ma voglio raccogliere questa difficile sfida di sintetizzare, in un solo post, quali sono tutti gli ingredienti per rendere eccellente e redditizia un'impresa.
Ovviamente con il mio stile, ovvero dritti al punto, senza tanti fronzoli inutili.

Siete pronti? Ok, partiamo!

#1. Decidi dove vuoi portare la tua azienda.
Se non sei il solo a decidere convoca gli altri tuoi soci, prendetevi un giorno di vacanza e rispondetevi in maniera chiara e dettagliata.
Questo non significa stabilire solo una Mission, tipo "voglio essere l'azienda del settore X riconosciuta come la più innovativa nel territorio", ma comporta una serie di decisioni su molti altri fattori, quali il posizionamento dell'azienda (lusso, prezzo basso o via di mezzo?), gli standard qualitativi da perseguire, la ricerca e sviluppo, la formazione del personale, l'approccio ai clienti etc. (tra poco li approfondiremo). In poche parole devi stabilire una Strategia Aziendale, sotto forma di modello di business, che faccia da guida a te e a tutti i tuoi collaboratori nel breve, medio e lungo periodo.
Questo, ad esempio, è un modello di business che aiuta a definire una Strategia:



Questo è quello che ho creato e che uso io, ma non è l'unico. L'importante è averne uno, chiaro, concreto, condiviso da tutti i soci e possibilmente anche dai responsabili intermedi. Vi aiuterà a tenere ben salda la rotta verso quello che volete raggiungere, o a cambiarla in maniera veloce e consapevole se quella precedente non va più bene.


#2. Controllo maniacale sui numeri.
Vendite, fatturato, incassi, insoluti, incidenza dei costi fissi sul fatturato, marginalità sui prodotti e servizi che offrite, ritorno sugli investimenti, flussi di cassa, statistiche, percentuali di efficacia commerciale (quante chiusure rispetto alle proposte, quanti appuntamenti rispetto ai contatti etc.).
Questa non è roba da commercialisti. Dovete saperla fare voi. Perché è una delle poche funzioni non delebili da un imprenditore: il controllo sui numeri. Poi operativamente potete farvi aiutare da un responsabile amministrativo o da un consulente esterno, ma la lettura, l'analisi e la decisione finale sulle azioni da fare è un'attività prettamente imprenditoriale.

#3. Approccio proattivo ai problemi. 
Che vuol dire, in estrema sintesi, avere la capacità di trovare risposte che partano dalla propria responsabilità personale. Quello che abbiamo attorno è il frutto di ciò che abbiamo fatto (o non fatto) fino ad oggi. Se ci piace allora dobbiamo rafforzare quelle azioni, se non ci piace bisogna individuare nuove modalità operative. Questo approccio richiede molta energia vitale, e per questo bisogna anche prendersi cura di se stessi, a livello fisico, mentale, emotivo. Aumentare solo le ore di lavoro o i sacrifici è una soluzione pessima e spesso controproducente. Tu vieni prima della tua azienda, e la tua azienda non può andare bene se tu non sei in forma. Quindi lavora su te stesso, non solo per migliorare l'operatività della tua azienda.

#4. Seleziona collaboratori con un ottimo potenziale, formali, affiancali e rendili man mano autonomi. 
Questo processo non si fa in due settimane e soprattutto non si esaurisce mai. Perché le aree di autonomia cambiano col tempo, a seconda delle esigenze aziendali. Una centralinista autonoma oggi nel rispondere al telefono potrebbe un domani diventare autonoma nel fare sondaggi di soddisfazione dei clienti. Chiediti: da quanto tempo le persone che lavorano con me non acquisiscono nuove competenze tecniche, organizzative e relazionali? La risposta ti dirà se la tua azienda è ferma o si sta evolvendo. Questo, ovviamente, vale anche per te che la gestisci.

#5. Metti in grado le persone di dare il loro meglio.
Ovvero comprendi quali sono i fattori, sia motivazionali che organizzativi, che rendono le persone efficaci ed efficienti nel proprio lavoro. Per esempio coinvolgendoli nelle scelte, chiarendo i risultati ed i ruoli, salvaguardando alcuni valori fondamentali o semplicemente dando riconoscimenti quando sono meritati. Molti dei costi occulti di un'azienda derivano da un approccio malsano e superficiale ai propri collaboratori, che provoca incomprensioni, errori, stress, apatia.  Chiedete apertamente a chi vi circonda cosa vorrebbero che venisse fatto per poter lavorare tutti meglio. Potreste scoprire cose interessanti.

#6. Vai a caccia degli sprechi.
Sono ovunque, ma ormai ci avete fatto l'abitudine. Sono sprechi che spesso erodono oltre il 40% degli utili, eppure nessuno ormai ci fa caso. Sono in parte legati a quanto detto sopra, ma non solo. Li troverete negli uffici, in procedure ridondanti stabilite magari 15 anni fa ed ora totalmente inutili. Li troverete in magazzino, con merci abbandonate in un angolo che sono diventate ormai parte dell'arredamento, o che qualcuno sposta ogni tanto per fare posto ad altro. Li troverete nei computer intasati di informazioni inutili, di mail mai lette, di programmi lenti e vecchi. Le aziende si preoccupano di come fare nuove vendite e raramente di come recuperare gli utili eliminando gli sprechi. Una follia.

#7. Chiediti come state approcciando i potenziali clienti e quelli già in essere. 
Come comunicate con loro, cosa dite, perché lo dite. Provate a mettervi dall'altra parte, e chiedetevi "Io continuerei ad essere un mio cliente?". Che valore aggiunto state offrendo, in cosa siete totalmente diversi dagli altri concorrenti diretti? Trasferite le caratteristiche dei prodotti/servizi o l'utilità che possono trarre dall'uso dei vostri prodotti/servizi? Abbiamo una strategia marketing e comunicativa da cui poi derivano i vari investimenti pubblicitari? E quanto destinate dei vostri utili a queste attività?

#8. Diventa una potenza nelle vendite.
Forma al meglio i tuoi venditori, se ne hai, o diventa tu stesso un abile commerciali.
Perché ormai questo aspetto non può più mancare in un'azienda. Sapete tutti riconoscere la tipologia di cliente che avete di fronte? Questo vi permetterebbe di utilizzare la modalità comunicativa migliore, evitando di spaventare i timidi e di andare in lotta sul prezzo con gli aggressivi. Non puoi improvvisare, né essere allo stesso modo con tutti. Avere strumenti di questo tipo significa poter costruire anche un metodo condiviso di vendita tra tutti i tuoi venditori, affinarlo nel tempo, renderlo unico e sempre più efficace. Non improvvisare.

#9. Esci dall'azienda, confrontati con altri imprenditori, frequenta ambienti stimolanti e innovativi.
Non partecipare solo ad incontri del tuo settore, anzi prediligi quelli totalmente diversi dal tuo. E costruisci relazioni, partnership, alleanze. Offri la tua esperienza, ascolta con attenzione chi sta ottenendo risultati migliori, non rinchiuderti nel tuo micro mondo. Perché spesso qualcuno ha già la soluzione che cerchi, e ti eviterà di perdere tempo e denaro. Se pensi che questo non sia lavoro o sia tempo buttato via, allora ti garantisco che sei davvero in alto mare.

#10. Contribuisci con la tua azienda a rendere migliore questo mondo, o almeno il territorio in cui vivi.
Ricordati che i migliori imprenditori hanno sempre scopi elevati, che non si limitano alla sopravvivenza, o ad un aumento del fatturato.  Forse non sono i più famosi o i più ricchi, ma sono quelli che hanno compreso che l'azienda è uno strumento per realizzarsi come persone e non un fine. Tanto meno una disgrazia da accettare passivamente e con frustrazione. Alza lo sguardo, osserva quello che davvero ti farebbe stare bene, e non scendere a compromessi con niente e nessuno.

Ecco, questa è la migliore sintesi che oggi possa fare, sulla base di quello che osservo nelle aziende che stanno crescendo quantitativamente e qualitativamente. Con a capo imprenditori consapevoli delle difficoltà, ma anche appagati dai risultati.
Comincia a lavorare su ciascuno di questi punti, e se senti di avere bisogno di una mano io sono qui. 
Ho sviluppato tutti questi concetti in un percorso formativo davvero completo, giunto ormai alla sesta edizione. Si chiama Accademia Aziendale Sovversiva, perché sovverte molti luoghi comuni e molte teorie che si leggono sui libri ma che poi non funzionano nella realtà.
Io ho preferito far il percorso inverso: ho studiato le aziende sane ed eccellenti per estrapolare cosa facevano di diverso dalle altre. 
A Gennaio partirà l'edizione 2017, riservata a soli 40 imprenditori, perché non è possibile seguire individualmente 300 partecipanti in un'aula. Ed il valore aggiunto nei nostri corsi è dato dall'interazione, dal coinvolgimento personalizzato, dagli esercizi pratici ed anche dall'allegria con cui si svolgono gli incontri!
Sarà un'esperienza che ti aiuterà per tutta la vita, non solo in ambito professionale ma anche come persona: questo è il feedback che più frequentemente ci viene dato da chi ha partecipato alle edizioni precedenti. E di questo siamo davvero orgogliosi.

Ora dipende da te. Come sempre ;)


Il programma completo dell'Accademia Aziendale Sovversiva lo trovi QUI.