domenica 25 agosto 2013

Le professioni più richieste

Se un giorno doveste ricevere la visita a sorpresa di quei vostri vecchi amici che speravate di aver perso, e vi trovaste nell'imbarazzante situazione di non sapere di cosa parlare, vi suggerisco questo argomento: la situazione economica italiana. E se proprio volete rendere frizzantella la conversazione, fate questa domanda precisa: "Secondo voi chi non rischia di rimanere senza lavoro nei prossimi 5 anni?" (mi sembra ovvio che l'obiettivo vero è perderli davvero i vostri amici, per sempre).

Nel caso facciano parte della categoria "simpaticoni nazional-popolari" le probabili risposte saranno: "Ah, beh... di sicuro l'escort... o il politico...".
Se invece fanno parte dei "pessimisti/scettici" vi diranno: "Ormai nessuno è più al sicuro, rischiamo di rimanere tutti disoccupati"
Ci sono poi quelli "tecnologici" e molto aggiornati che ti spiegano che sarà senza dubbio "il programmatore CAD con sistemi opensource per stampanti 3D". 
Oppure gli appassionati del pensiero positivo ti spiegheranno come basterà immaginarsi il proprio lavoro ideale per far materializzare, al massimo entro 21 giorni, la chiamata telefonica del tuo nuovo datore (ma è molto probabile che loro siano disoccupati da 6 mesi...).

Insomma, è un argomento che può appassionare davvero tutti. Persino il Ministero del Lavoro.
Ogni anno infatti si prendono la briga di elaborare e poi diramare un "Rapporto sulle Comunicazioni Obbligatorie" che riporta numerosi dati in merito al complesso mercato del lavoro

Avevo finito i 3 libri che mi ero portato in vacanza e così in mancanza d'altro mi è venuta la pessima idea di leggermi tutte d'un fiato le 83 pagine piene zeppe di percentuali e statistiche di cui è composto il rapporto.
Come spesso capita con le analisi a posteriori (in questo caso si riferisce al 2012) la prima sensazione è sempre quella di un'autopsia. Più o meno quello che succede a quegli imprenditori che scoprono a fine anno, nell'ufficio del loro commercialista, che la loro azienda ha perso molto più di quello che "sospettavano". E realizzano solo in quel momento di essere falliti. 

Insomma, anche leggendo queste 83 paginette è normale trovare alcune conferme alle proprie sensazioni, ma non mancano le piccole sorprese.
Le conferme riguardano principalmente l'area dei nuovi rapporti di lavoro attivati, in calo del 2% rispetto l'anno precedente e composto principalmente da contratti a tempo determinato (64%) rispetto a quelli a tempo indeterminato (17,4%). Entrambi però sono in calo rispetto al 2011, a favore di una terza voce generale ("altri contratti") che include soprattutto il lavoro "a chiamata" (e questo, devo ammetterlo, depone a favore dei cultori del "pensiero positivo", anche se non viene specificato in quanto tempo avviene la "chiamata").  
In generale le donne hanno goduto di maggiori assunzioni rispetto agli uomini, anche se di poco. E principalmente al nord.

Altre conferme arrivano dai diversi trend nei vari settori, con l'industria che ha offerto meno posti di lavoro (188 mila, per la precisione) rispetto ad agricoltura (in crescita) e servizi (leggera diminuzione, ma con un interessante +7% di ristoranti/alberghi e +3,9 nelle attività svolte da famiglie).

Ma veniamo alle tipologie di lavoro che hanno avuto più richieste lo scorso anno. Al primo posto, sia per gli uomini che per le donne, è il tanto paventato ritorno "alla zappa". Ben 767 mila braccianti uomini e 485 mila braccianti donne sono stati assunti per fare uno dei lavori più belli che ci siano. A contatto con la natura e senza lo stress delle fabbriche. Non so voi, ma io la vedo come un'ottima notizia, oltre che ineluttabile.
Al secondo posto, anche qui sia per uomini che per donne, il sempre verde lavoro di cameriere. A seguire, per gli uomini: il lavoro da manovale, quello di cuoco e poi quello di facchini. 
Ma è al sesto posto la prima sorpresa. Perché con ben 157 mila posti di lavoro in più abbiamo... (ta-tan!) il regista/attore/scenografo/sceneggiatore.  
Se ci pensate è una notizia davvero strabiliante (almeno per me). Suppongo siano tutti impiegati nei vari reality "trashow", oppure per scrivere la settecentotrentesima puntata dello sceneggiato "Commissario Basettoni squadra anticrimine", o al massimo per selezionare i prossimi talenti muniti di fattore Y
Perché io di artistico in giro non è che veda granché.
Per le donne invece la terza posizione è quella dell'insegnante ed a seguire il ruolo di commessa e poi di assistenza alla persona.
Sempre i vostri amici simpatici diranno che nelle prime posizioni manca un'altra professione sempre in voga e redditizio, ma ricordo che il rapporto prende solo in considerazione i lavori da dipendente.
Nel finale ci sono altre due sezioni, una dedicata ai licenziamenti (per età, zona geografica, contratto di lavoro etc.) e l'altra ai lavoratori extracomunitari. 
Ve le risparmio entrambe.

Ebbene, devo confidarvi che terminata la lettura ero piuttosto affranto. Non tanto per i numeri snocciolati dal rapporto, quanto per l'ennesima conferma della loro totale inutilità.


Perché queste analisi si basano su fattori che ormai non sono più in grado di spiegare l'andamento reale del mercato del lavoro. 

Ad esempio parlano di tipologie di lavoratori suddivisi per "competenze tecniche" mentre la vera suddivisione dovrebbe essere per "reale professionalità". 
Per intenderci: dire che falliscono 10 mila aziende all'anno non vuol dire niente. Bisognerebbe capire quante di quelle 10 mila erano gestite da veri "imprenditori" e quante invece da "ex artigiani cresciuti un po' negli anni '80 con gestione ancora a braccio". 
Si tratta di una notevole differenza. Nel primo caso ci troveremmo di fronte ad un dramma ingiusto, mentre nel secondo caso potremmo parlare al massimo di una triste, quanto inevitabile, selezione naturale. 


In Italia non abbiamo un problema di lavoro, ma un problema di lavoratori. 
Non sono in crisi le imprese, bensì coloro che quelle imprese le gestiscono.


Mi spiace, ma puoi cominciare a parlare di crisi solo dopo che nella tua azienda avrò trovato: 
Una vision, una mission e dei valori condivisi con tutti i collaboratori. Un organigramma chiaro e funzionale.  I sondaggi fatti sui tuoi clienti attivi e fermi, una chiara strategia marketing e commerciale creata sulla base dei risultati dei sondaggi. Un sito fatto bene ed un blog aziendale che ti faccia distinguere. Dei commerciali proattivi ed eccellenti. Un perfetto controllo di gestione che evidenzi la vera marginalità. Individuazione e separazione delle attività a valore da quelle a non valore. Eliminazione del 50% dei costi occulti. Persone selezionate sulla base di competenze relazionali, oltre che tecniche. Un bel clima aziendale. Delle riunioni brevi e settimanali, per condividere informazioni e chiarire i risultati da ottenere. Una pianificazione del lavoro con statistiche. Un sistema di incentivi meritocratici.
Ecco, a quel punto, se l'azienda andrà comunque male, potrai venire a parlarmi di crisi.

Stesso discorso vale per liberi professionisti e lavoratori dipendenti.
Non basta più saper fare le dichiarazioni dei redditi se vuoi sopravvivere come commercialista. Non puoi fare la commessa in un negozio se non ti sei mai specializzata nelle vendite. Sarai sempre un pessimo ristoratore se non sai gestire il personale. Sei destinato a cambiare lavoro se sei bravino come architetto ma sei scostante con i clienti.

Questo non viene fuori dai meravigliosi report con mille migliaia di percentuali suddivise per area geografica. Perché si tratta di un'analisi fatta da burocrati mummificati dentro al loro ufficio da trentanni. Mentre là fuori c'è una cosa molto più viva e dinamica, che si chiama "realtà".

Tutto questo pippone per dire anche a te, che vorresti sapere dal magocotza "quali saranno le professioni più richieste", che in realtà la risposta non c'è, in quanto è la domanda ad essere sbagliata
Quella giusta dovrebbe essere: "Quali caratteristiche mi permetteranno di svolgere, da oggi in poi, il lavoro che più mi appaga?"
Bene, se mi segui da un po' di tempo, qui sul blog o frequentando i miei corsi, un'idea chiara dovresti essertela già fatta. 
Altrimenti ti consiglio vivamente di leggerti con attenzione altri miei post o, se non ami la lettura e vuoi qualcosa di più interattivo, di iscriverti alla prossima edizione del "Professionista del Futuro". 


Il Rapporto del Ministero del Lavoro non lo dirà mai, ma la reale differenza tra chi in futuro avrà un'occupazione che lo soddisfa e chi invece rimarrà disoccupato, non sarà data dal titolo di studio posseduto o dall'area geografica in cui vive. I fattori saranno altri ed è un peccato che in tanti ancora non se ne siano resi conto. 

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