lunedì 19 agosto 2013

Prima di aprire un'attività in proprio.

In Italia sta accadendo un fenomeno interessante. A fronte di tante aziende che chiudono cresce la voglia di mettersi in proprio, avviando la propria attività.
Qualcuno ritiene che siano gli effetti della disoccupazione, della serie "se nessuno mi dà un lavoro me lo creo io".
Di per sé l'approccio sarebbe corretto, se non fosse che a fronte delle oltre mille start up che nascono ogni anno, di media 7 su 10 chiudono senza aver neppure recuperato il capitale investito. Un disastro.
Il che significa due cose:
- se non trovavano lavoro forse qualche motivo c'era.
- l'arte dell'improvvisazione è ancora una caratteristica tutta italiota.

Certo, qui da noi c'è la burocrazia, la pressione fiscale e bla bla bla, ma queste cose un novello imprenditore dovrebbe metterle in conto prima, non dopo. Non si parte a fare un'azienda solo perché si ha una buona idea ed un finanziamento europeo.
E soprattutto non ci si butta a fare qualcosa di grande se prima non si è dimostrato di saper fare quelle piccole.

Cerco di spiegarmi meglio.

A chi non trova lavoro consiglio sempre di fare quello che io stesso ho fatto all'inizio: lavori umili. Cameriere, animatore turistico, raccolta della frutta, guardiano notturno. Ho fatto di tutto, e ne sono fiero. In molti casi mi hanno anche sfruttato. Mi andava bene comunque. Perché il mio obiettivo non erano solo quei pochi soldi che mi davano, bensì imparare da ogni esperienza qualcosa e dimostrare che, se volevo, potevo fare quel lavoro meglio di altri. Nessuno mi ha mai licenziato, anzi, spesso mi proponevano condizioni economiche migliori per restare o per ricoprire ruoli di maggiore responsabilità. A quel punto decidevo io di andarmene per cercare qualcosa di meglio. Perché avevo dimostrato principalmente a me stesso che quella cosa la sapevo fare, meglio di tanti altri.

Gli atteggiamenti che invece vedo oggi sono due, entrambi sbagliati:
- Si rifiutano lavori umili (perché io "ho studiato", perché io "merito di più" e stupidaggini di questo tipo).
- Si accettano, ma vengono svolti malamente, con un senso di sconfitta e di apatia che rende vana anche quella esperienza. E che ovviamente non porta mai ad una vera evoluzione.

Ecco, in entrambi i casi pensare di essere pronti per aprire un'attività in proprio si rivelerà un fallimento o (nel migliore dei casi) un'esperienza drammatica.
Perché non puoi gestire un ristorante se hai fallito come cameriere. Perché non puoi gestire altre persone se hai fatto fatica ad essere per primo tu disciplinato. Perché non puoi creare un business plan se non sei stato neppure in grado di farti bastare la tua paghetta mensile.
Ovviamente affermare queste cose nelle aule affollate da aspiranti imprenditori è più pericoloso che starsene con un parafulmini in mano durante un temporale. Di solito a ribellarsi sono, nel seguente ordine, queste categorie di persone:
1. Sensitivi (io sento che posso farcela!),
2. Vendicativi (dimostrerò a chi mi ha rifiutato che si sbagliava!)
3. Supereroi (vincerò ogni avversità e sconfiggerò il male!)
e a seguire tutti coloro che poi, dopo qualche mese, chiederanno aiuto ad amici, parenti o consulenti perché (guarda un po'...) le cose non vanno proprio benissimo.

Non mi stancherò mai di dire che PRIMA di aprire un'attività imprenditoriale (dal negozietto che vende cibo biologico per gatti alla società hi-tech che ottiene un milionardo di euro a fondo perduto) ci sono dei passi da fare o dei fattori indispensabili da avere, senza i quali è difficile sperare di arrivare al successo.
Vediamo i principali:

- Sondaggi.
Intervista quelli che un domani dovrebbero essere i tuoi potenziali clienti e chiedigli: "Se tra un mese ti proponessi di acquistare le mie meravigliose frittelle impastate a mano da ragazze vergini che usano solo ingredienti incontaminati dell'Himalaya, tu le acquisteresti per dieci euro ciascuna?".
Se la risposta è: "Ti prego portamele tutte appena saranno pronte" allora la tua idea è effettivamente interessante, mentre se cade improvvisamente la linea ogni volta che termini la domanda allora forse è meglio desistere.
E qua fioccano le proteste, purtroppo frutto di tutta quell'immondizia motivazionale che ci hanno rifilato come "casi di successo da emulare", tipo i Beatles che nessuno voleva scritturare o dell'inventore della fotocopiatrice che ricevette decine di rifiuti prima di incontrare la Xerox. E' vero che ci sono casi in cui grandi idee non sono state comprese all'inizio e che poi sono divenute di estremo successo (anche io amo raccontarle), ma sono appunto eccezioni. E' lo stesso meccanismo per cui tanti comprano biglietti della lotteria, pur sapendo che vincere è quasi impossibile. Ma il telegiornale parla di quel vecchietto che con cinque euro ne ha vinti un milione e tutte le pecore si immedesimano in lui pensando di poter fare lo stesso.
Fidati, nella maggior parte dei casi se un'idea non incontra già nel sondaggio un minimo di interesse, e tu non sei il nuovo Steve Jobs, è molto probabile che la tua idea valga poco.

- Business Plan.
Non si tratta di qualcosa di esoterico, né particolarmente complesso. Non devi essere laureato alla Bocconi per farne uno né essere riconosciuto come uno dei dieci economisti più influenti del globo terracqueo.
Si tratta semplicemente di fare una lista dei costi fissi e di quelli variabili e di cercare di comprendere cosa dovrai fare per:
1. rientrare dall'investimento fatto (e in quanto tempo)
2. raggiungere in forma stabile il punto di pareggio oltre il quale la tua attività produrrà veri utili.
Un business plan NON è "compro a 20 rivendo a 50, guadagnerò 30". E neppure "tolto l'affitto e il materiale il resto è utile".
E' innanzitutto una lista accurata di tutte le spese, anche quelle piccole o saltuarie (ci hai messo dentro anche la cancelleria? No? A te regalano i toner della stampante? Fortunato...). Successivamente è una concreta simulazione di quante vendite dovrai fare per coprire tutti i costi (anche te stesso, se non sei ricco di famiglia). Poi comprendere come farai a trovare quei clienti (no, mi spiace, non verranno spontaneamente da te). E poi la gestione finanziaria del tutto, compresa la quota che dovrai dare al tuo socio di maggioranza (lo Stato).
Potresti così scoprire che per arrivare al punto di pareggio devi produrre un tale numero di pezzi che non bastate tu e il tuo socio, ma che vi serve un'altra persone. Ma questo farà crescere i costi fissi e di conseguenza il numero di pezzi da produrre... insomma ti fai un'idea più realistica di cosa significa avere il tuo giocattolo da gestire.

- Competenze.
Le competenze devi averle prima di partire, non puoi più fartele con "l'esperienza" come negli anni '80. Da qui che fai esperienza la tua azienda è già kaputt. Le competenze devono essere ovviamente "tecniche", ovvero  legate al tuo settore (ecco perché farle anche da sottopagato è meglio), ma soprattutto di tipo IMPRENDITORIALE.
Sai fare un organigramma funzionale in cui si stabilisce, per esempio, chi di voi dovrà andare fuori a vendere o chi si dovrà occupare del controllo di gestione? Sai fare una trattativa commerciale senza andare subito a parlare di prodotti e di prezzi? Sai gestire i fornitori (ed i pagamenti) per evitare di trovarti un magazzino sovradimensionato? Sai selezionare il personale o commetterai il tragico errore di inserire la fidanzata in amministrazione e il tuo migliore amico in produzione? Sai far funzionare un gruppo (anche di 3 persone) oppure sei di quelli che ritengono che l'anarchia sia il modo migliore per rendere le persone produttive? Ci sai fare con il pubblico o siccome sei timido viene difficile anche un sorriso?
Molto presto ti accorgerai come ogni lacuna su uno o più di questi aspetti si rivelerà un boomerang che presto sbatterà sulla tua testa ancora piena di buone idee.
E ti assicuro che non sarà colpa del Governo, della Crisi o degli Austro-Ungarici se dopo sette mesi avrai più problemi tu di un tacchino nel giorno del ringraziamento.

- Carattere.
Ebbene sì, il genio intrattabile avrà vita difficile, almeno fino a quando il mercato non gli riconoscerà di essere veramente un genio. Prima risulterà solo un insopportabile rompicoglioni. E di conseguenza in pochi vorranno lavorare con lui, aiutarlo, fargli un favore. Questo del carattere è un aspetto troppo spesso sottovalutato, anche da chi deve assegnare finanziamenti pubblici (parlerò un giorno di questo). Eppure è spesso il vero fattore X, che determinerà il successo o il fallimento di una start up.
Il carattere ideale per chi apre una propria attività dovrebbe essere un mix tra determinazione ed empatia. Perché se sei troppo remissivo finisci con l'essere stritolato, ma se sei troppo aggressivo fai allontanare gli altri. Indispensabile una bella componente di proattività (leggi qui se non sai di cosa si tratta) e di lucidità (per la gestione del proprio tempo e di conseguenza del proprio stress,  ma anche per la pianificazione del lavoro altrui).
Assolutamente deleteria è la permalosità, la chiusura mentale e la tendenza agli sbalzi d'umore. 
Se conosci imprenditori con un pessimo carattere che hanno fatto successo sappi che hanno avuto solamente la fortuna di cominciare in anni in cui questo era un lusso che si potevano permettere. Se dovessero cominciare adesso come te, anche loro farebbero una brutta fine. Ora godono solo di un vantaggio competitivo acquisito negli anni, che prima o poi terminerà.

Ecco, questi sono i principali fattori da tenere in considerazione prima di aprire un'attività, se davvero vuoi avere buone possibilità di renderla redditizia in breve tempo.
Se invece vorrai tentare l'avventura ignorando questi consigli io ne sarò FELICISSIMO. Perché tra qualche mese c'è un'alta probabilità che cercherai un consulente esperto che ti aiuti a rimettere a posto le cose.
Ed io sarò ben lieto di farlo.


Leggi anche: Attività redditizie 2013 e Come capire se una start-up può avere successo



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