domenica 15 settembre 2013

Cosa sono i Fab Lab

Se pensate che in Italia ci sia rimasto poco da fare di veramente nuovo, vi assicuro che siete lontanissimi dalla realtà.
Anzi, potrei tranquillamente sostenere che ci troviamo solo all'inizio di una vera e propria rivoluzione cominciata in sordina qualche anno fa , ma che si sta rapidamente diffondendo in maniera virale (come accade per tutti i grandi cambiamenti epocali).
Sto parlando dei FabLab, che non sono Laboratori Favolosi, come all'inizio pensavo bensì le iniziali di "Fabrication Laboratories".
Il papà dei FabLab, Neil Gershenfeld, li pensò come luoghi in cui si potevano fabbricare oggetti personalizzati in completa autonomia, grazie all'uso di strumenti semplici, quali un laser cutter, una fresa a controllo numerico, ma soprattutto stampanti 3D, che grazie a a semplici schede elettroniche e a microprocessori sono in grado di trasformare un semplice progetto virtuale in un oggetto vero e proprio, annullando tutti i costi tipici del prototipo.

La rivoluzione passa attraverso la combinazione magica (o fab...ulous, se preferite) di ben 4 diversi fattori, che raramente nella storia si fondono in simili imprevedibili sinergie:

Il primo di questi è il concetto di Glocal, ovvero del bisogno di tornare ad un approccio che valorizzi il territorio (Local) salvaguardando i vantaggi che oggi internet offre di essere visibile in ogni parte del globo terracqueo (Global). Il Glocal piace a tutti, perché soddisfa le esigenze ecologistiche, i sognatori della decrescita felice, gli smanettoni del web, il desiderio atavico di condividere la vita all'interno di un gruppo e per certi versi sopperisce alla crisi energetica che deriverà dal "peak oil" (senza che cerchiate su wikipedia, è semplicemente la fine imminente dei grandi giacimenti di petrolio).
Quindi il Glocal è il primo ingrediente.

Il secondo è la crisi manifatturiera tradizionale, ad opera non solo dei cinesi, ma anche di un'imprenditoria italiana sempre più debosciata, oltre che martoriata da burocrazia, tasse e blablabla.
Oh, lo so che non è politically correct, ma dobbiamo dire le cose come stanno. Le PMI italiane sono rimaste ferme agli anni '80 e la proporzione di imprenditori illuminati è, con una botta di ottimismo, circa 1 su 100. Gli altri sono tutti decotti, con la loro brochure nuova, il venditore rubacchiato al concorrente ed il prodotto innovato l'ultima volta nel 1976 grazie ad un'intuizione del nonno... eh, quando c'era lui in produzione era tutta un'altra cosa...

Poi c'è un terzo fattore, che manco io conoscevo prima di addentrarmi in questo favoloso mondo dei FabLab, che si chiama Arduino. Non chiedetemi tecnicamente di cosa si tratta perché su queste cose sono ignorante come una capra, ma da quel che ho capito è una scheda "open source" che ha permesso di creare tanti bei giocattolini a costi ridotti, tra cui le mitiche stampanti 3D.

Il quarto ingrediente, da non sottovalutare, è una vagonata di creativi, ragazzetti svegli, designer, universitari, cazzeggiatori e piccoli geni che si stanno radunando in ogni parte del mondo per aprire altri FabLab (pare stiano superando il numero di 300, ma la crescita è davvero velocissima), tra cui quelli italiani a TorinoPalermo, Firenze, Reggio Emilia, Bologna, Milano, Napoli, Roma, Genova, Pisa, Borgomanero,Trento, Modena e probabilmente da molti altri che purtroppo non conosco direttamente.

Ai soliti disfattisti potrebbe sembrare una cosina da niente, ma mi è bastato dare un'occhiata ai nostri amici più svegli (gli ammerigani) per notare una notiziola alquanto interessante: Obama ha deciso di investire un miliarduzzo di dollari sul manifatturiero hi-tech, finanziando proprio laboratori sullo stile FabLab (ne verranno inaugurati 15). Se vi sembro esagerato e non vi fidate di me leggetevi tutto l'articolo del Sole24h.
Capite bene che se gli USA investono in questo settore, senza avere la nostra tradizione e creatività, sarebbe davvero da folli non puntare noi per primi su un modello destinato a scardinare molti dei paradigmi legati alla produzione semi-industriale e manifatturiera.
Purtroppo il limite che io intravedo è solo di tipo organizzativo. Ovvero sta mancando un business model facilmente duplicabile che possa agevolare non tanto la nascita, quanto la crescita stabile dei FabLab sul territorio e, perché no, in ogni città italiana. Se alla fantasia a briglia sciolta uniremo anche un rinnovato approccio imprenditoriale avremo davvero trovato la chiave di volta per rilanciare a livello internazionale il nostro Paese.
Significherebbe un nuovo Rinascimento che nasce dal basso, con la possibilità di vendere anche on line i propri prodotti (come già fanno alcuni, tipo BuruBuru), in un connubio che potrebbe (e dovrebbe) unire artigianato locale e manufatti hi-tech, creati anche (ma non solo) con stampanti 3D.
I Cinesi verrebbero spazzati via nell'arco di tre anni, perché se un macchinario è duplicabile, di certo non lo è la creatività di migliaia di ragazzi che si scambiano idee e imparano costantemente gli uni dagli altri.

Che dire di più? Io ho deciso di fare "all-in" sui FabLab. Chi si fida mi segua!

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