Oggi ho ricevuto da un mio cliente, ormai amico, un riconoscimento che mi ha emozionato.
Mi ha detto che in un anno la sua azienda è cambiata ben oltre le sue più rosee aspettative, in termini di utili, di organizzazione, di clima interno e di qualità della sua vita personale. E' stato un momento molto toccante.
Sentirsi dire grazie, nel mio lavoro, è qualcosa di estremamente appagante e mai scontato.
Ed è uno degli elementi fondamentali che utilizzo per selezionare i clienti con cui lavorare.
Dopotutto la differenza la si nota già dal primo approccio: mi arrivano in media una trentina di richieste a settimana, di persone che mi chiedono consigli e suggerimenti per il loro lavoro. Io rispondo sempre a tutti, destinando almeno un'ora al giorno del mio tempo a questa attività totalmente gratuita. A volte le richieste sono così articolate che la risposta è già di per sé una vera e propria consulenza.
Ebbene, in oltre la metà dei casi non mi arriva nessun feedback. E guarda caso sono proprio le persone che manifestano di avere i maggiori problemi e difficoltà lavorative.
Danno per scontato che qualcuno dedichi tempo ed energie per loro, e non sentono neppure il bisogno di rispondere con un semplice grazie.
Già questo singolo aspetto è sufficiente per comprendere le vere cause dei problemi che hanno, che loro ovviamente attribuiscono alla crisi, al mercato, allo Stato, ai dipendenti, ai clienti e mai a se stessi.
Viceversa coloro che poi mi mandano due righe di ringraziamento spesso sono le stesse che qualche settimana dopo mi riscrivono per dirmi che hanno applicato i miei consigli e questo ha dato loro un grande giovamento. Non può essere casuale.
C'è invece una forma di ringraziamento che detesto.
E' quello dovuto a chi usa il favore per tenerti in scacco. E' spesso frutto di una disponibilità interessata, finalizzata a chiedere qualcosa in cambio. In questo caso il "grazie" rende schiavi psicologicamente, e sta alla base del clientelismo così diffuso nel nostro Paese.
In forme meno evidenti può avvenire tra colleghi di lavoro o nei rapporti interpersonali.
Se il "grazie" sano fa star bene chi lo pronuncia, quello strumentale porta invece a provare istantaneamente una sgradevole sensazione.
Meno si utilizza la prima forma e più ci si ritroverà nella vita ad utilizzare la seconda.
Ora potrà sembrare troppo semplicistico attribuire così tanta importanza all'attitudine delle persone a ringraziare per quello che viene fatto per loro e ad allontanare coloro che usano "i favori" per dominare psicologicamente coloro ai quali li fanno.
Ma le soluzioni ai problemi della vita sono sempre semplici. Siamo noi che spesso tendiamo a complicare le cose, per non doverle affrontare.
A proposito, grazie ;)
venerdì 22 novembre 2013
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