Questo fine settimana ho avuto il piacere di essere uno dei relatori al Vivi di Rimini. Devo dire che ho molto apprezzato il coraggio dell'organizzatore, Francesco Rosso, di mettere assieme così tanti punti di vista sull'argomento del Benessere, spaziando dallo yoga della risata di Richard Romagnoli al life surfing di Emanuele Maria Sacchi, dall'Angel Therapy di Isabelle Von Fallois alla spiritualità scientifica di Gregg Braden, e dall'esoterismo di Salvatore Brizzi alla pragmaticità del sottoscritto.
In effetti devo ammettere che c'è stato un momento in cui mi sono chiesto se era giusto parlare di lavoro ad un evento dove i miei ben più autorevoli colleghi toccavano temi così "alti".
E soprattutto se era il caso di spiegare la mia avversione per la motivazione fine a se stessa ed il fraintendimento che si è creato attorno a tutto il cosiddetto "pensiero positivo".
Ho così deciso di iniziare spiegando il mio "ottimismo consapevole", che considero la sintesi più efficace tra i due estremi classici ottimista/pessimista.
Anche perché il mio compito era dire la verità rispetto a tutto ciò che accadrà nel mondo del lavoro, e dovevo farlo cercando di turbare il meno possibile tutti i presenti.
Su un aspetto però non ho potuto davvero essere diplomatico, ovvero sulle distorsioni che esistono oggi sul concetto del "cerco lavoro", inteso sia come l'attività di marketing che un libero professionista o un'azienda fa (o dovrebbe fare) per trovare clienti, che come attività classica di chi cerca un impiego.
Ciò che suscita maggiori reazioni emotive è il concetto che i clienti ed il lavoro non verranno mai più a noi spontaneamente.
Ovvero, per dirla in maniera meno criptica, che non ci sarà alcuna ripresa economica, che nessun partito politico riuscirà a creare posti di lavoro, che il posto fisso lentamente scomparirà per sempre.
Di solito nella sala si crea un silenzio gelido e solo qualche coraggioso tenta un timido applauso.
E non è per niente facile, al termine della frase, aggiungere che quella non sarà neppure la peggiore notizia che sentiranno durante il mio intervento.
Qui, di solito, vengo assalito da un brutale senso di colpa, accompagnato da un intimo desiderio di vedere la gente sorridente e felice e da un inconscio bisogno di essere amato da tutti. Insomma, un tris letale che cerco di smorzare usando l'unica dote che in questi casi mi salva in calcio d'angolo: l'ironia.
La metto un po' a cazzeggio, in modo che i meno pronti possano dire "ah, ok, questo cozza cazzeggia, quindi mica devo prenderlo sul serio. Sicuramente il mondo tornerà ad essere quel luogo meraviglioso che era un tempo. Basterà pensare positivo".
Dopotutto ci sono tante persone che hanno un bisogno primario, che è quello di essere rassicurate.
Il mondo là fuori è talmente complesso e ostile che serve ogni tanto una boccata di ossigeno, un qualcuno che ti dica che tutto andrà bene e che tu sei già perfetto così.
Lo comprendo perfettamente.
Però ce ne sono tantissimi altri che hanno superato la paura e persino accettato il cambiamento, ma non conoscono gli strumenti per poter fare il passo successivo, ovvero come agire concretamente per migliorare la propria vita personale e professionale.
Sono consapevoli di avere tutte le potenzialità che servono e sono comunque disposti a migliorarsi ulteriormente, ma non sanno come.
Ed è a loro che io parlo.
A queste persone posso spiegare la differenza che passa tra avere dei semplici obiettivi e perseguire una Vision. Posso permettermi addirittura il lusso di trasferire la differenza abissale che passa dal "fare delle azioni" all'ottenere dei risultati che altri (e non loro stessi) reputino di valore. Posso parlare di brand personale, di antifragilità e di break even personale.
Ma la cosa più importante che ho capito in questi giorni è che questi due mondi, apparentemente lontani, ovvero la spiritualità e il mondo del lavoro, in realtà hanno un'infinità di punti in comune e ciascuno è propedeutico all'altro. La responsabilità delle proprie azioni è una caratteristica fondamentale per un imprenditore o per chiunque voglia svolgere al meglio il proprio lavoro. E la propria attività professionale è una palestra continua per chi vuole allenarsi sul perdono incondizionato o sull'accettazione degli altri.
Chi cerca lavoro, veramente, dovrebbe tener conto che non è un'attività puramente meccanica, fatta di CV portati alle aziende o di pubblicità spedite ai clienti. È qualcosa di più "olistico", se vogliamo usare questo termine tanto in voga, e di conseguenza anche più complesso.
Ecco, questo i politici non si sogneranno mai di dirvelo. Perché è preferibile lasciarvi ipnotizzati nel vostro ruolo di vittime bisognose di "altri", che forse un giorno faranno qualcosa per voi.
Senza spiegarvi che quello di cambiare in meglio la vostra condizione è un potere tutto vostro e che nessuno potrà mai togliervi, se deciderete di esercitarlo.
Quindi mi permetto di darvi un piccolo consiglio atipico: prima di cercare lavoro, trovate voi stessi.
domenica 11 maggio 2014
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